Vitamina D, forse gli integratori non servono così tanto alla salute delle ossa

Un recente studio britannico “smonta” una delle convinzioni apparentemente più solide sugli integratori di vitamina D

Ovvero, che non sarebbero in grado di migliorare la densità minerale ossea o prevenire fratture negli adulti. Dunque, sebbene la vitamina sia stata a lungo associata a una diminuzione del rischio di una serie di condizioni, come l’osteoporosi e l’ipertensione, e sebbene moltissime persone continuino ad utilizzare tali integratori – soprattutto durante i mesi invernali – per poter avere ossa “più forti”, in realtà alcuni autori sembrano essere convinti che, in fondo, così non è.

“La nostra meta-analisi ha scoperto che la vitamina D non impedisce le fratture, le cadute o il miglioramento della densità minerale ossea, se ad alte o bassi dosi” – ha affermato Mark J. Bolland, professore associato presso l’Università di Auckland in Nuova Zelanda. La ricerca, pubblicata su Lancet Diabete & Endocrinology, ha analizzato i dati da 81 studi a coinvolgimento di più di 53.000 persone, e ha concluso sintetizzando che la vitamina D non impedisce fratture o cadute, né può avere un effetto significativo sulla densità minerale ossea.

Dunque, almeno secondo questo studio, non vi sarebbe sufficiente giustificazione nell’assunzione di tali integratori, per lo meno nel momento in cui si desidera attraverso essi mantenere o migliorare la salute muscoloscheletrica, e arrivando addirittura a sostenere che non vi sarebbe necessità di ulteriori prove per poterlo sostenere con certezza.

Ad ogni modo, la ricerca sostiene anche che gli integratori sono utili nella prevenzione di condizioni rare come il rachitismo e l’osteomalacia in gruppi ad alto rischio, e che possono essere favorite da una situazione di prolungata mancata esposizione al sole.

Bolland suggerisce ai medici che attualmente raccomandano la vitamina D ai pazienti più anziani come un modo per prevenire l’osteoporosi o ossa fragili, di fermarsi. “Le linee guida cliniche dovrebbero essere cambiate per riflettere questi risultati” – ha aggiunto.

In un articolo di commento correlato, J. Chris Gallagher del Creighton University Medical Center di Omaha, Nebraska, ha detto che molti pazienti (e medici) sono stati convinti da vari studi che la vitamina D è una cura per tutto. “Questo pensiero ricorda il fervore che anni fa ha sostenuto l’uso diffuso di vitamina A, vitamina C e vitamina E, salvo poi scoprire che tutti questi studi sulle vitamine si sono poi rivelati clinicamente negativi” – ha altresì dichiarato il ricercatore.