La morte nell’era del feed: Instagram nuovo muro dei necrologi

Dall'addio a Ornella Vanoni, una riflessione su come Instagram sia, oggi, nuovo spazio della memoria collettiva, dove il lutto pubblico si manifesta attraverso feed saturi di immagini, citazioni e omaggi condivisi.

Instagram nasce come piattaforma dedicata alla condivisione estetica. Nei suoi anni di evoluzione è diventato un archivio di viaggi, un portfolio personale, uno spazio di micro-influencer, un luogo per l’informazione rapida e, ultimamente, un mercato in cui creator e aziende convergono.

Al tempo stesso, è anche un teatro quotidiano in cui identità e narrazioni si costruiscono frammento dopo frammento: attraverso reel, caroselli, stories effimere e highlights che diventano piccole teche di ciò che vogliamo ricordare.
Ma, accanto a queste funzioni ormai consolidate, Instagram ne ha sviluppata un’altra, inattesa e sempre più evidente: quella di trasformarsi nel nuovo “muro dei necrologi” della contemporaneità.

Non più solo un social di immagini curate e vite accelerate, ma uno spazio in cui la memoria dei personaggi pubblici – e talvolta delle persone comuni – viene celebrata attraverso un flusso continuo di post, stories e citazioni. Un fenomeno che ha raggiunto un nuovo recentissimo picco con la morte di Ornella Vanoni, generando un’ondata di immagini, omaggi e frasi riprese compulsivamente dalla dashboard di milioni di utenti.

Non è un caso isolato: poco prima dell’addio a Ornella Vanoni, è stato il turno delle gemelle Kessler, e prima ancora del re della moda Giorgio Armani. Nel corso del tempo è accaduto con figure provenienti dal mondo dello spettacolo, della musica o dell’intrattenimento digitale ma quello che colpisce è la modalità: Instagram, più di qualsiasi altro social, è diventato un tempio istantaneo della memoria collettiva.

Quando il lutto diventa pubblico e digitale: l’algoritmo di Instagram e la memoria della Gen Z

Per comprendere questo fenomeno bisogna considerare la struttura stessa di Instagram: un feed visivo, immediato, altamente emotivo, perfetto per tradurre in immagine ciò che non può più essere raccontato dai protagonisti. Il gesto di postare una foto in ricordo è diventato la forma contemporanea del “lasciare un fiore”, un rito collettivo e performativo che permette di dire: “Anch’io. Anch’io la ricordo, anch’io partecipo al lutto pubblico.”

L’algoritmo rinforza questa dinamica. Più contenuti su un tema circolano, più vengono riproposti, trasformando la dashboard in un vero e proprio mosaico funebre. Una dinamica che si autoalimenta e che rende ogni morte di un personaggio noto un evento digitale che invade la quotidianità degli utenti, al punto che – dopo il “giro” mattutino sui propri social – è impossibile non essere al corrente di certi avvenimenti.

Il caso Ornella Vanoni: un’artista monumentale e la sua rinascita digitale

La morte di Ornella Vanoni è un caso emblematico non solo per la reazione virale che ha attraversato Instagram, ma per ciò che rivela riguardo al rapporto tra generazioni e memoria culturale. Vanoni non è stata semplicemente un volto diventato pop negli ultimi anni: è stata una delle voci più riconoscibili e raffinate della musica italiana, con una carriera costruita lungo oltre sei decenni, capace di attraversare epoche, stili e trasformazioni sociali senza mai perdere autenticità.

Prima che la Gen Z la incrociasse sul palcoscenico di Sanremo o nei tormentoni contemporanei, Vanoni era già un’icona: interprete di brani che hanno scolpito un immaginario collettivo – da L’appuntamento a Senza fine – e protagonista di una stagione culturale in cui la musica italiana si stava emancipando, aprendosi a nuove sonorità e nuovi linguaggi emotivi. Il suo timbro inconfondibile, vellutato e malinconico, è stato parte integrante della storia del Paese.

La morte nell’era del feed: Instagram nuovo muro dei necrologi

Foto ANSA

È proprio questa grandezza pregressa ad aver contribuito, quasi paradossalmente, alla sua rinascita digitale.

Ornella Vanoni e la Gen Z: diva pop e meme virale

Quando la Gen Z l’ha incontrata – non più attraverso il vinile o le trasmissioni televisive degli anni Sessanta e Settanta, ma attraverso tre nuove vie – l’ha percepita come un personaggio sorprendentemente contemporaneo. A Sanremo, Ornella Vanoni ha mostrato la sua ironia spontanea e la sua fragilità senza imbarazzo, e il suo modo unico di stare sul palco l’ha trasformata in un’icona trasversale, capace di far sorridere e commuovere al tempo stesso.
Le collaborazioni pop, come “Mille” con Fedez e Achille Lauro, l’hanno poi introdotta a un pubblico nuovo, mostrando un’incredibile capacità di giocare con la modernità senza perdere la propria eleganza. Ultima ma non meno importante, la dimensione memetica, che non l’ha mai ridicolizzata ma, al contrario, ne ha celebrato la distintiva autenticità: la richiesta di far ripartire una base o un commento fuori dagli schemi – seppur in diretta nazionale – erano espressioni di una presenza scenica viva, sincera, non costruita e assolutamente virale.
Vanoni, agli occhi dei giovani, è stata un’artista con alle spalle una carriera monumentale che, nella sua vitalità, sapeva ancora sorprendere e non prendersi troppo sul serio.
E proprio questo contrasto – la nobiltà di un percorso artistico lungo sessant’anni e la leggerezza con cui abitava la contemporaneità – l’ha resa irresistibilmente pop.

La memoria digitalizzata: perché ci intasa, ma al tempo stesso ci rassicura

Dietro ogni post commemorativo c’è un bisogno profondo: sentirsi parte di una comunità emotiva. La Generazione Z vive il lutto collettivo non come un processo privato, ma come una forma di partecipazione pubblica, condivisa, quasi rituale

Le stories diventano biglietti lasciati su un muro digitale; le citazioni diventano mantra; le fotografie iconiche divengono santini pop che circolano fino a saturare il feed.

Questo passaggio dal personale al collettivo produce effetti ambivalenti. Da un lato, offre uno spazio di riconoscimento: “Anch’io l’ho amata, anch’io ne sentirò la mancanza.”
Dall’altro, rischia di trasformare il lutto in un gesto estetico e superficiale, in un atto performativo che sbiadisce il significato del ricordo.

La dashboard di Instagram si intasa perché l’algoritmo premia ciò che unisce, ciò che risuona, ciò che emoziona. E il lutto condiviso è uno dei sentimenti più forti e immediatamente riconoscibili. Ma la verità più complessa è che, pur essendo stanchi della ripetizione, ne abbiamo bisogno. Ci rassicura vedere che gli altri provano ciò che proviamo noi. Ci consola sapere che non siamo soli nel nostro sentirci toccati dalla morte di qualcuno che non conoscevamo, ma che in qualche modo sentivamo vicino.

Instagram diventa allora un luogo di conforto collettivo, un altare improvvisato dove migliaia di persone si ritrovano senza essersi date appuntamento.

Il nostro futuro è destinato ad essere un feed di ricordi?

Il fenomeno dei “necrologi digitali” su Instagram solleva domande profonde. Come cambia il nostro modo di ricordare? Cosa resta davvero quando le stories scompaiono dopo 24 ore? E, soprattutto, stiamo costruendo un modo nuovo – forse fragile, forse potentissimo – di affrontare la mortalità?

Il caso Vanoni, come altri prima, mostra che la memoria collettiva sta migrando sempre più verso il digitale. Non c’è più un muro fisico, non ci sono più annunci ufficiali o pagine di giornale: c’è un feed che scorre, che si riempie, che ci ricorda per un istante e poi passa oltre.

Forse è questo il paradosso più grande: il nostro ricordo è breve, ma intensissimo; effimero, ma profondamente condiviso. E Instagram, con i suoi algoritmi e le sue estetiche, è diventato il nuovo teatro dove si recita l’ultimo atto della vita pubblica di chi se ne va.