Transizione generazionale: la nuova era della moda italiana
Prima che le telecamere si accendano e la voce si liberi, ci sono gesti che raccontano più di tante parole. Lorenzo Bertelli si presenta alla registrazione del podcast “Quello che i soldi non dicono” indossando un giacchetto Miu Miu Prada. Semplice, minimale nella scelta, significativo nell’intento: “Indosso solo quello che mi piace.” Un’affermazione che spoglia la moda dalla necessità di ostentazione e la riporta al gusto personale, alla libertà di espressione, riconoscendo al contempo il valore identitario del vestire.
In un’epoca delicata per la moda italiana, l’attenzione si sposta su un momento di grande trasformazione: la transizione generazionale nelle grandi famiglie dell’industria. Il settore, storicamente guidato da dinastie imprenditoriali, si trova ora ad affrontare un passaggio cruciale, tra eredità, nuovi linguaggi e la sfida di mantenere centralità in uno scenario globale. Bertelli, tra i volti simbolo di questa fase, incarna il punto di raccordo tra passato e futuro, tradizione e innovazione.
La forza della manifattura italiana e la sfida della qualità secondo Lorenzo Bretelli
Ma la moda, nelle parole e nella visione di Lorenzo Bertelli, è anche un’urgenza industriale e culturale che va oltre i confini di Prada o Versace: «Noi siamo prossimi all’acquisizione di Versace», dichiara, ma evidenzia che non si tratta solo di una strategia aziendale, bensì di una sfida collettiva per l’Italia e per l’Europa intera. Il sistema moda deve riscoprire e valorizzare il suo patrimonio più autentico: il saper fare con le mani, quell’arte manifatturiera che ha reso grande l’Italia nel mondo.
Lorenzo non esita a riflettere sulle prospettive future, individuando nella manifattura il vero punto di svolta: «L’Italia, insieme al Giappone, potrebbe diventare il centro manifatturiero per eccellenza». Ma per riuscirci bisogna accettare una verità imprescindibile: «Non possiamo pensare di competere sui volumi, ma sulla qualità, altrimenti la partita è persa». Un messaggio chiaro, che va oltre i confini aziendali e coinvolge le nuove generazioni chiamate a raccogliere un’eredità fatta di storia, tecnica e sensibilità.
Questa sensibilità, Lorenzo racconta di averla assorbita fin da bambino: «Sono stato cresciuto con cultura e all’interno di un clima di sensibilità che definisco innata». Una dote che diventa oggi capacità di “saper giudicare ciò che guarda”, cogliendo il valore nei dettagli di ciò che si crea e si propone al mondo.
Memoria e cultura aziendale: il segreto per tramandare l’unicità di Prada
Nel corso della puntata, arriva una domanda fondamentale: quando avviene davvero il passaggio generazionale? “Quello vero avviene senza che quasi ce ne si accorga, in modo fluido”, riflette Lorenzo. Ed è qui che la cifra unica di Prada si manifesta: nel connubio tra creatività e industria, ma soprattutto nel rapporto diretto tra dipendenti e vertici, un legame che Bertelli considera essenziale e che vuole preservare anche nell’acquisizione di Versace. Non a caso, dichiara di non voler apportare cambiamenti drastici da subito: prima desidera conoscere, ascoltare, “bere un caffè” con chi già lavora nell’azienda. Solo così, sostiene, si tramanda l’unicità identitaria che rischia di andare persa nel tempo.
Prada è un esempio di resilienza e capacità di muoversi controtendenza, anche nei momenti più complessi. Il 2024 è stato un anno difficile per il settore del lusso, che ha conosciuto un calo dopo l’ebbrezza dei rimbalzi post-pandemici. Ma la storia di Prada – e di questa acquisizione – non è fatta solo di numeri: è, innanzitutto, una storia di cultura aziendale e della responsabilità di non disperdere quell’energia creativa e manifatturiera costruita negli anni.
Conquistare la Gen Z: il ruolo della comunicazione e della reputazione
Oggi, la sfida centrale nel mondo del lusso è conquistare la fiducia della Gen Z, generazione che guarda oltre la qualità intrinseca del prodotto e attribuisce enorme valore alla coerenza e profondità dei messaggi che un brand comunica. Bertelli lo esprime con realismo e autoironia: “Un terzo è duro lavoro, un terzo è l’ambiente in cui ti muovi ma nella vita un terzo è anche culo.”
Riflessione non scontata, specie in un mondo – quello del lusso – dove si parla spesso di trend, ma troppo poco del “potere del vuoto”: quegli spazi di attesa, quei momenti di sospensione che sono parte integrante della crescita e della trasformazione di un marchio. I vuoti, i silenzi, i momenti di passaggio non detti: sono questi, forse, i motori silenziosi che rafforzano davvero l’identità e la capacità di rispondere al futuro.
Versace: dal passato agli obiettivi futuri, il rilancio secondo Bertelli
Lorenzo però è netto: “Le idee sono chiare, e al momento opportuno vedrete quello che succederà.” L’obiettivo di Prada è avanzare a testa alta, senza paura di errori passati. “Non è che se uno fa un errore una volta, quella mossa sarà necessariamente sbagliata anche in un altro momento.” Il riferimento è a passaggi anche sofferti nella storia recente di Prada, come progetti o acquisizioni non sempre coronati dal successo atteso – casi che, come ammette Bertelli, hanno rappresentato lezioni preziose di maturazione più che semplici battute d’arresto.
Oggi Versace, nonostante qualche difficoltà e una storia recente altalenante, resta stabilmente tra i primi cinque brand citati nel mondo quando si parla di moda di lusso. “Il brand è molto più grande del fatturato che fa” sottolinea Lorenzo: la sfida, ora, è quella di allineare il business al valore immateriale e simbolico del marchio, portando finalmente i risultati economici “all’altezza della grandezza di Versace”.

